sabato 12 settembre 2015

Rousseau e La Filosofia del Movimento 5 Stelle


Rousseau e La Filosofia del Movimento 5 Stelle

Si accusa il M5S di non avere alcuna idea politica, di essere solo vuota protesta, ma non è vero. Non solo ce l'ha, ma questa è figlia di una tradizione che risale al miglior pensiero illuminista del '700. Gianroberto Casaleggio è colui che più di tutti ha dato una impronta alla visione del movimento grillino. La sintesi del pensiero di Casaleggio è in queste sue parole: “Bisogna puntare a costruire un sistema di democrazia diretta, adesso possibile grazie al ruolo della rete che determina una nuova centralità del cittadino nella società. Si tratta di una rivoluzione prima culturale e poi tecnologica. Gli eletti devono comportarsi da semplici portavoce. Il loro compito è quello di mantenere gli impegni con chi li ha votati. In caso contrario dovrebbero essere sfiduciati. Per accelerare la realizzazione di un sistema coerente con i principi della democrazia diretta, è doveroso approvare le seguenti modifiche costituzionali: introduzione del referendum propositivo senza quorum; obbligatorietà della discussione parlamentare delle leggi di iniziativa popolare; elezione diretta del candidato che deve risiedere nel luogo nel quale si presenta; abolizione del voto segreto e introduzione del vincolo di mandato." Queste parole di Casaleggio, insieme a quelle più sanguigne ma sulla stessa linea dette da Grillo, costituiscono la summa della filosofia grillina. Idee apparentemente moderne ed originali che in realtà, ad una lettura più attenta, costituiscono invece una ri-attualizzazione nell'era di internet delle idee offerte quasi tre secoli fa dal pensatore ginevrino Jean Jacques Rousseau morto nel 1778, pochi anni prima cioè dallo scoppio di quella Rivoluzione Francese non a caso spesso evocata, non senza fraintendimenti, nei comizi del comico genovese. Nella sua opera più famosa e organica, Il Contratto Sociale, Rousseau sostiene chiaramente, in netta polemica con Montesquieu, che la sovranità non può essere delegata: “(…) Trovare una forma di associazione che difenda e protegga le persone e i beni degli associati sfruttando al massimo la forza comune, associazione nella quale ogni uomo, pur unendosi a tutti gli altri, non obbedisca che a se stesso e resti libero come prima”. Per ottenere questo ambizioso risultato Rousseau individua una sola strada: “(…) La cessione totale di ogni associato con tutti i suoi diritti alla comunità tutta, poiché ciascuno dona l’intero se stesso, la condizione essendo uguale per tutti, nessuno ha l’interesse di renderla più pesante per gli altri (…). Ciascuno di noi mette in comune la propria persona e ogni potere sotto la suprema direzione della volontà generale; e noi riceviamo ogni membro come parte indivisibile del tutto”. La Rete, nell’accezione rivoluzionaria proposta dal Movimento 5 Stelle, altro non è se non il veicolo indispensabile per coagulare questa nuova volontà generale che pone ogni potere al di sotto del popolo sovrano. A differenza di Hobbes, che manifesta una profonda sfiducia nell’essere umano, Rousseau ritiene che questo tipo di patto sociale lasci l’uomo libero all’interno della comunità. La volontà generale, così come concepita da Rousseau e sposata dai grillini, finisce quindi con l’identificarsi con il bene comune: “E la sovranità, in quanto esercizio pratico della volontà generale, non può mai risultare alienata perché il corpo sovrano, il quale è solo un corpo collettivo, non può essere rappresentato che da se stesso. Il potere si può trasmettere, la volontà no. Per gli stessi motivi per cui è inalienabile essa è anche indivisibile; infatti o la volontà è generale o non esiste” (Giorgio Galli, Il pensiero politico occidentale, Dalai editore, pag. 172). Ora capite perché Grillo insiste nel non voler accettare responsabilità di governo con nessun’ altra forza politica? Perché rivendica una diversità strategica e ontologica? Perché insiste nel dire che il Movimento 5 Stelle governerà solo quando avrà raggiunto il 100% dei consensi? Non si tratta di battute visionarie ed estemporanee ma di concetti che, pur apparendo stravaganti e sconnessi, rivelano una precisa visione della politica e del mondo che già in passato ha fornito gli strumenti concettuali utili per opporsi ai sistemi totalitari. Insiste Rousseau: “La sovranità non può essere rappresentata per la stessa ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale e la volontà non è soggetta a rappresentanza. I deputati del popolo dunque non sono e non possono essere suoi rappresentanti; essi non sono che suoi commissari, non possono concludere niente definitivamente. Ogni legge che il popolo in persona non abbia ratificata è nulla, non è assolutamente una legge. Il popolo inglese pensa di essere libero, ma si inganna gravemente; non lo è che durante le elezioni dei membri del parlamento: appena essi sono eletti questo è schiavo, è un niente (…)". Questo ragionamento vi ricorda qualcosa? Altri elementi dell’analisi di Rousseau sono certamente presenti nella piattaforma politica proposta dai grillini: la restituzione della diaria è una aggiornamento del precetto formulato dallo stesso Rousseau che invita ad abbandonare “lusso e ricchezze”; lo slogan “uno vale uno” ricalca l’idea del raggiungimento di una uguaglianza possibile solo grazie al trionfo della “volontà generale” così come in precedenza delineata; la rinuncia al titolo di onorevole, a vantaggio del meno formale “cittadino”, è diretta conseguenza di una filosofia che impone “semplicità nei costumi”. Pure la polemica contro la stampa di regime trova i suoi prodromi nelle parole di Rousseau: “Quando il popolo delibera in base ad una corretta informazione, la volontà generale prevale e, di conseguenza, la deliberazione risulta sempre buona”. Se oggi il popolo stenta a riconoscere la verità, quindi, è perché esiste un circuito informativo che gli impedisce di coglierla [..]".
Il pensiero di Rousseau, che in parte ispirò la rivoluzione francese, fu tradito dagli stessi rivoluzionari. Il grande tradimento, che ancora oggi perdura nell'articolo 67 della nostra costituzione e in quasi tutte le costituzioni del mondo, fu compiuto e taciuto durante la rivoluzione francese. I libri di storia ufficiali evitano accuratamente di parlarne, eppure è l'evento più significativo e determinante della storia recente.
Infatti durante la prima assemblea democratica francese, con l'assemblea degli Stati Generali tenutasi il 5 maggio 1789 e la costituzione dell’Assemblea nazionale il 17 giugno del medesimo anno, fu originariamente stabilito (in accordo con il pensiero di Rousseau) il "Mandato Imperativo", cioè l'obbligo imperativo per i rappresentanti di rispettare il mandato dei cittadini che li avevano delegati. I rappresentanti inviati a Parigi da tutte le regioni e le città della Francia avevano con se dei fogli con scritte le richieste dei cittadini delle loro regioni, che gli erano stati consegnati ufficialmente dagli stessi durante la cerimonia pubblica di investitura e che si erano impegnati a rispettare. 
Ma già nella seduta del 23 giugno 1789, il re Luigi XVI, non riuscendo a corrompere i rappresentanti a causa del mandato imperativo, si rende conto di doverli liberare da tale vincolo, e per ottenere ciò offre in cambio su un piatto d'argento di cedere su due importantissime richieste del terzo stato: la libertà di stampa e il controllo delle imposte. Come avrebbe potuto il popolo dire di no di fronte a tanta generosità del loro Sovrano, in cambio di una (solo apparentemente!) piccola rinuncia come il mandato imperativo? Come racconta il costituzionalista Luigi Principato: "[...] Nella seduta del 23 giugno 1789, Luigi XVI accoglie alcune rivendicazioni borghesi, riconoscendo la libertà individuale e di stampa e concedendo che siano gli Stati Generali a deliberare le imposte; per il resto, attua una politica autoritaria, non accogliendo le richieste di voto per teste, pretendendo l’annullamento delle deliberazioni sino ad allora assunte dall’Assemblea e contestando quest’ultima nella sostanza, imponendo che gli ordini si riuniscano e deliberino separatamente. Nella medesima ordinanza, il Sovrano dichiara "la nullità dei mandati imperativi", proprio al fine di evitare che i rappresentanti impediscano il regolare funzionamento dell’assemblea, eccependo le limitazioni dei rispettivi incarichi. “Nemesi della storia”, com’è stato acutamente osservato da eminenti costituzionalisti come il professor Gaetano Azzariti (vedi: G. Azzariti, "Cittadini, partiti e gruppi parlamentari: esiste ancora il divieto di mandato imperativo?"). L’assenza del vincolo di mandato, nell’esperienza rivoluzionaria che porterà alla approvazione della Costituzione monarchica del 1791, diviene immagine di una sorta di sovranità assembleare, più che popolare. Ciò proprio perché, nella prima fase della rivoluzione, la monarchia è ben lungi dall’essere osteggiata: l’assolutismo di Luigi XVI cade sotto la scure delle rivendicazioni del Terzo Stato, ma la Costituzione del 1791 recepirà comunque un’ambigua forma di governo duale, caratterizzata dall’Assemblea e dal Re, entrambi promanazione della Nazione. 
Siffatta sovranità assembleare sembrerebbe apparentemente neutrale per il profilo sostanziale: il Re pretende di sfruttarla per mantenere e consolidare i privilegi dell’Ancien Regime ed il sistema monarchico, mentre i rappresentanti riuniti nella sala della Pallacorda la invocano quale strumento di affermazione dei nuovi ideali del nascente astro borghese. La formazione dell’Assemblea Nazionale può essere considerata, alla luce dei successivi sviluppi, il primo passo dell’espressione di un potere costituente che nel celebre giuramento si dichiara lapidariamente: i rappresentanti non siedono più, nell’assemblea, per rappresentare gli specifici interessi di questa o quella parte del popolo. Il compromesso ne ha distorto il ruolo e la funzione, esaltandone la funzione rappresentativa e svilendone l’originario rapporto con i rappresentati."
Tale vergognosa disposizione fu poi tristemente confermata dall’articolo 52 della Costituzione dell’anno III della rivoluzione (22 agosto 1795), che aggiunse per l’appunto il divieto di mandato imperativo a quella analoga approvata dall’Assemblea nazionale con legge 22 dicembre 1789 in cui, in reazione allo spirito particolaristico delle precedenti assemblee, si affermava: “I rappresentanti nominati all’Assemblea nazionale dai dipartimenti non potranno essere considerati come i rappresentanti d’un dipartimento particolare, ma come i rappresentanti della totalità dei dipartimenti, cioè della nazione intera” (art. 8); “pertanto (...) i rappresentanti all’Assemblea nazionale non potranno mai essere revocati, e la loro destituzione non potrà essere che la conseguenza di una condanna” (art. 11).
La trappola era servita. La Rivoluzione Francese era divenuta da una rivoluzione del popolo ad una rivoluzione della sola casta borghese di eletti, che si sarebbe trasformata in quella casta di politicanti dediti ai propri interessi che a tuttoggi governa le democrazie rappresentative nel mondo. Mentre al popolo, come al solito, la rivoluzione non portò nulla, tranne l'illusione di contare qualcosa grazie al periodico e futile teatrino delle elezioni. Il M5S cavalcando l'innovazione portata da internet, che ha messo per la prima volta gli uomini in condizione di essere permanentemente connessi tra loro e di poter decidere insieme il proprio destino autonomamente, senza dover sottostare al giogo di una qualche casta, intende semplicemente portare a termine quella rivoluzione politica che era stata lasciata a metà.

4 commenti :

  1. Qui la proposta di legge di Fraccaro per introdurre l'iniziativa popolare a voto popolare (referendum propositivo), il referendum confermativo e il referendum confermativo obbligatorio
    http://www.riccardofraccaro.it/referendum-fraccaro-m5s-depositata-proposta-di-legge-in-materia-di-democrazia-diretta-per-adeguare-istituto-del-referendum/

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  2. Se internet non fosse principalmente "social", giochetti on line e informazione controllata (dipendente dal profitto generato dalla pubblicità), i tempi sarebbero davvero maturi per imporre una sorta di "mandato imperativo".
    Lo stesso Blog di Grillo (e Casaleggio) sono la dimostrazione che internet non può garantire le condizioni necessarie ad un evento così importante.
    Non dimenticare poi che, sopratutto in Italia, la rete è condizionata e condizionabile proprio da quei potentati che non vogliono perderlo, il potere..
    Come se non bastasse, in Italia esiste un'ignoranza diffusa proprio in merito alle nuove tecnologie, generata nel passato dall'aver ammesso l'inglese come unica lingua per imparare ed apprendere ogni nuova tecnologia, così da rendere il tutto ancora più complicato da capire.. (a differenza ad esempio della Francia che pretese addirittura che un linguaggio di programmazione diffuso come il Basic fosse tradotto per essere meglio comprensibile).
    Così oggi si deve fare i conti con una popolazione incapace di sfruttare i nuovi mezzi, che potrebbe partecipare attivamente alla vita politica del paese, ma che non è stata messa in grado di operare serenamente (per controllare un popolo lo si deve tenere nell'ignoranza).
    Senza scordare poi le scelte che, a mio modesto parere, sono state fatte in modo frettoloso (sbagliando) proprio da Casaleggio e il "suo" staff, come l'uso diffuso della obsoleta e dispendiosa piattaforma MeetUp, o il "sistema operativo" adottato dal MoVimento. Entrambi soluzioni che, invece di favorire una partecipazione realmente democratica, mettono in seria difficoltà chi desidera attivarsi e collaborare, ed in particolare proprio per le deficienze di entrambi le soluzioni adottate, che non hanno alcun riguardo verso le difficoltà d'uso da parte dell'utente (per ricerca di argomenti, organizzazione delle informazioni fondamentali, libertà di espressione, diffusione delle idee, metodi di partecipazione, identificazione chiara tra iscritti e semplici "simpatizzanti", ecc).
    Insomma, da attivista che cerca disperatamente di operare sul territorio mi sento di condividere i buoni propositi che descrivi, ma con tanto realismo sono costretto a certificare una situazione che, se non affrontata in modo più deciso, alla fine impedirà ancora che la vera democrazia partecipata possa realizzarsi..
    Luca Mori - Sorbolo (PR)

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  3. I temi toccati sono complessi, e mi riservo di frazionare i miei commenti. Intanto quando si parla di "partecipazione” si intende in questo modo la £democrazia diretta”? Ad esempio, se per un simbolo o il nome ufficiale di un partito, qualcuno offre due o tre possibilità, e quindi chiama tutti gli iscritti o anche i cittadini a “partecipare” scegliendo fra tre possibilità, è questa la "democrazia diretta”? Ed ancora, diretta o non diretta, siamo sicuri di avere un chiaro concetto della democrazia e di tutti i concetti ad essa necessariamente collegati?

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  4. I commenti vanno inseriti con proprio nome e cognome o con uno pseudonimo? Non è una differenza da poco... E non sto a spiegare cosa intendo.

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